Lo incontro una volta ogni mese e mezzo. Ed ogni volta è una storia a sè. Giorgio gestisce la sua bottega in uno dei quartieri storici della capitale. Tra quelle viuzze, le case basse, rosse, ocra, tra un meccanico e un elettrauto, spicca la sua insegna semplice: “Barbiere”.
Quello fa, Giorgio. Il barbiere.
E’ di quelli vecchio stile. Ti sistema il telo con delicatezza attorno al collo, schiaccia il pedale per regolare l’altezza della poltrona, fa un cenno nel grande specchio orizzontale e poi comincia.
Usa solo le forbici, quasi mai la macchinetta anche se ha poco più di 40 anni.
Fisico asciuttissimo, capelli raccolti, lunghi, neri e lisci. Sembra un indiano.
E parla, parla, parla.
“Mo, ho deciso. Me tatuo e me faccio er Che, perchè mo’ basta eh! Me so rotto er c@##o de tutti, nun se ne po’ piu, nun je la faccio più co sta crisi'”.
Il mio sguardo riflesso dal vetro deve fargli intuire che l’assioma tatoo- guevara-crisi non mi è chiaro. E puntuale arriva la spiegazione.
Indica la storica sede del Pd dall’altro lato della strada, proprio davanti al suo negozio.
“Mo’ basta cor Partito Democristiano. Basta, basta. Qui tocca cambia’ tutto, tocca fa la rivoluzione pe ddavero”.
Guardo la forbice che scende tra nuca e collo, la lama che taglia e rifinisce, lui che muove gli occhi dalla mia testa allo specchio e viceversa. Comincio a preoccuparmi, più per il taglio che per un improbabile raptus di follia da parte del barbiere rivoluzionario.
Giorgio va avanti e spiega il suo progetto.
“Mica me tatuo er Che dele bandiere e dele magliette, la foto famosa….no, no. Me tatuo sul petto er Che cor braccio teso e la pistola in pugno. C’hai presente quella?”.
Faccio cenno di sì ma in realtà non ho presente l’immagine di cui parla.
“Così poi a Freggene me levo ‘a maglietta e tutti capiscono”. La frase resta in sospeso, il taglio è finito, pago, l0 saluto e me ne vado.
Era un mese e mezzo fa.
Rivedo Giorgio in questi giorni. Nella bottega non c’è nessuno. Solo gli strumenti allineati, in ordine, in attesa, sotto il grande specchio. Mi abbraccia, lo fa quasi sempre. Dopotutto sono undici anni che taglio i capelli qui.
Quando mi siedo, mi guarda dritto nel riflesso degli occhi.
“Nun je la faccio più. Sto pe’ chiude, Marco. Nun riesco più a pagà le bollette, le spese, l’affitto. La ggente se taja i capelli a casa, pe rrisparmià”.
Non so che dire se non un generico e banale “dai, magari le cose miglioreranno”.
“No, andrà sempre peggio. Ormai ho solo una scelta davanti”
….
“O vendo casa, o chiudo bottega”
….
“Ma a quel punto, nun c’ho più gniente da perde. E allora so c@##i loro”.
Non so chi siano loro. So solo che qualcosa in lui s’e’ spento. E il buio fa anche un po’ più paura.
Maggio 26, 2013
Memorie di un parrucchiere guevarista
Informazioni su Marco Bariletti
Giornalista, padre, blogger.
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Questo articolo è stato inserito il domenica, 26 Maggio 2013 alle 5:17 am ed etichettato con attentato, barbiere, casta, crisi, esasperazione, euro, fallimento, malapolitica, odio, parrucchiere, Politica, preiti, trozky, violenza e pubblicato in Qualcosa di personale. Puoi seguire tutte le risposte a questa voce con il feed RSS 2.0.
3 responses to “Memorie di un parrucchiere guevarista”
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Meta
27 Maggio 2013 at 5:46 PM
Anche Giacomo, il mio barbiere, a Genova, in via Cairoli. Un giorno non ce la fece più e chiuse, lo rividi qualche volta al Righi e poi più.
27 Maggio 2013 at 5:47 PM
L’ha ribloggato su carlenrico.
28 Maggio 2013 at 10:04 am
Il mio di parrucchiere ogni volta che ci vado mi fa aspettare un’ora … strana la crisi, sembra solo per pochi, per alcuni non esiste, per altri è una mannaia. Non credo sia facile capirne le ragioni, che sicuramente non risiedono solo nella nostra politica da strapazzo, per noi italiani credo che dovremmo andare a scavare nella nostra storia e nella nostra cultura e dico solo che mi dispiace per Giorgio e che tu Marco sei fortissimo nel darci questi spicchi di realtà.