Li ho conosciuti in una notte di passaggio. Hanno l’allegria contagiosa delle persone libere e il passo pesante di un vecchio ubriacone. Suonano, cantano e fanno ballare con coppole e vecchi cappelli calcati sulla testa a mascherare quelle facce da semi-conosciuti, da quasi famosi.
Vengono dai set di Romanzo Criminale e dei Cesaroni, tra di loro c’è di tutto, dal blogger geniale e ironico al cantautore inizio anni ’90 che ha partecipato anche a Sanremo.
Si ritrovano tutti assieme in una strampalata terra di confine tra Nino Manfredi e Bob Marley, Gabriella Ferri e Manu Chao, Alberto Sordi e i Pogues, Pasolini e i Clash.
Cantano di prigioni e di accoltellamenti sul lungotevere, di periferie e borgate, di amori maledetti e inseguimenti sbirreschi, di cravattari e tradimenti. Per essere più credibili, si sono dati un’etichetta volutamente sbracata, riduttiva, dispregiativa.
Sono l’ Orchestraccia e fanno rivivere stornelli romaneschi e poesie di Trilussa o Petrolini su un tappeto reggae-ska-folk.
Il mio televisore ultimamente è perennemente sintonizzato su RaiYoyo, tra Barbapapà e Peppa Pig, e forse è per questo che non avevo mai ascoltato le loro suonate da resident band nel programma della Dandini.
Piacevole scoperta, questa Orchestraccia in una serataccia capodannesca. Mi hanno fatto riconciliare con questa città che loro amano e che io troppo spesso mi limito a vivere.
gennaio 2, 2013
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