In una minuscola stazione di Roma, c’e’ un piccolo altarino. Una madonnina in vetrina, con una preghiera dedicata ai ferrovieri. E’ incisa coi caratteri del ventennio.
E tutto attorno sono fiori, acciaio e neon, rotaie, sassi anneriti e gallerie.
Quando giocavo con il trenino elettrico pensavo che solo quello fosse finito, chiuso, circolare. E che i treni, quelli veri, quelli dei grandi, potessero arrivare ovunque perché i binari erano cosi: paralleli e infiniti.
E allora se salivi su un treno in Liguria potevi spingerti fino in fondo all’Africa o davanti al Giappone.
Da grande ho capito che le cose non stanno proprio così ma che con un treno puoi arrivare davvero lontano.
E allora laggiù, alla fine della galleria di questa piccola stazione romana riesci quasi a intravedere il binario 21 della Centrale di Milano e la torre faro che gli sta a fianco.
Duecento giorni fa, quattro ferrovieri sono saliti su quella torre per protestare contro il loro licenziamento e contro la soppressione dei treni notturni, i wagon lits.
Si sono dati il cambio, lassù sulla torre, Stanislao, Carmine, Giuseppe e Oliviero. Panini, sacchi a pelo, fazzoletti e un piccolo bagno chimico per resistere.
Da duecento giorni, i macchinisti che passano da Milano Centrale fischiano in segno di solidarietà con quegli altri, appesi lassù, per difendere i treni notturni e il loro posto di lavoro.
Domani, a mezzogiorno, l’ultimo di quei quattro ferrovieri scenderà dalla torre. La loro battaglia è vinta a metà. I treni notturni sono stati ripristinati anche se a loro non è stato assicurato il reintegro.
Erano saliti sulla torre l’8 dicembre scorso, giorno dell’Immacolata. Forse perché in fondo al loro binario riuscivano a scorgere questa piccola stazione romana e questo altarino.
giugno 17, 2012
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