Un giorno di aprile su un molo di Lampedusa mi sono commosso. Microfono a penzoloni e occhi lucidi davanti alle centinaia di persone che sbarcavano con la pelle nera, i piedi nudi, i vestiti zuppi e gli sguardi persi.
Mamme che cercavano i propri figli. Bimbi che cercavano i propri papà. Padri che cercavano gli spezzoni della propria famiglia.
Era uno dei primi sbarchi dalla Libia, un carico di uomini, donne e piccoli dall’Africa Subsahariana.
Quel giorno, come tutti gli altri giorni da inviato sull’isola, registrai immagini, sequenze, voci, suoni, emozioni, paure. Ma in un servizio televisivo da un minuto e mezzo, c’è spazio appena per 25-30 inquadrature. Nulla, rispetto a tutto quello che viene filmato.
Da qui, un’idea che oggi si è trasformata in realtà.
Il Galata-Museo del Mare di Genova ha inaugurato un padiglione sulle migrazioni. Una sala è dedicata proprio a Lampedusa, con uno dei famosi e colorati barconi e gli oggetti dei migranti. Sui monitor al plasma, scorrono le immagini grezze realizzate nei cinque mesi trascorsi sull’isola.
Tutti gli sbarchi, i volti, i naufragi, i sorrisi, i salvataggi in mare, le mani tese, le lacrime, le speranze, le paure, non sono andati perduti.
Un modo semplice per conservare la memoria.
novembre 18, 2011
19 novembre 2011 at 2:37 PM
complimenti!!